Jennyfer
di Alessandro Ludovico
La casa sembrava aggirarsi nel buio per effetto del vento.Il sole
sembrava morto dall'altra parte del mondo. Non sapevano se sarebbe
mai tornato. E le civette non erano le sole impaurite da una
situazione imbarazzante. Il volto di Jennifer non aveva credibilita',
seduta sull'antica sedia a dondolo nella veranda della vecchia villa
di campagna. Non aveva fretta di aspettare l'indomani.C'era tutta
la notte per ripensare ai suoi vent'anni, e sapeva che sarebbero
volati in quelle poche ore. Ricordava cose apparentemente
insignificanti, Jennyfer, che aveva inconsciamente messo in
relazione con altre piu' importanti. Un cartoccio di caramelle poteva
ricordarle un intero periodo di quando era bambina e con sua madre
usciva a fare spese. Era per tutti la figlia dell'avvocato. Ma la
aveva sempre infastidita essere conosciuta per i "meriti" professionali
di suo padre e non per quella che era la sua sensibilita'. Aveva dovuto
sopportare a denti stretti fino alla maturita' . Beh, non tanto
era scappata di notte con Ben ed aveva passato ben seri momenti di
angoscia per le restrizioni inflittele dopo la "bravata". Ma questo
la eccitava ancora di piu' nell'andare contro tutte le possibili
regole del buon senso, trovandovi una liberta' di espressione tanto
piu' pericolosa, quanto piu' liberatoria. Di questo l'avvocato e sua
moglie non si accorgevano. L'uno per badare alla sua indispensabile
professione ("chi porta il pane a casa secondo te ?"), l'altra per
cercare di risollevare le sorti di un matrimonio tardamente
scopertosi affrettato. Entrambi non facevano altro che comportarsi
secondo gli schemi dei loro educatori in una inconsapevole rivalsa
delle proprie frustrazioni giovanili. Jennyfer era una ragazza
sveglia e appena poteva si svincolava e diventava imprendibile. La
sua relativa velocita' d'azione le era costata l'attento studio di
quegli stessi amici che la mortificavano per la sua ingenuita' e la
ignoravano come donna. Ora era troppo particolare per loro e il suo
livello di riflessione aveva aquisito caratteristiche eccezionali
per una ragazza cosi' giovane. Jennyfer sapeva guardare sempre al di
la' delle semplici apparenze penetrando quasi istantaneamente il
carattere della persona che le stava parlando. Non era quello che
volgarmente viene definito come "intuito femminile", ma una lenta e
innaturale deformazione delle sue convinzioni alla luce di
esperienze dalle emozioni sempre piu' forti. Esperienze numerose, ma
colpevoli di un unico vuoto: erano prive di un punto di riferimento,
in base al quale giudicarle, valutarne i parametri, le scelte, le
differenze. Ma queste emozioni scatenavano la sua fantasia e
lasciavano fluire la depressione, a contraddirla. Jennyfer si
lasciava andare; la musica dura che ascoltava nei locali bui con gli
amici, le entrava nella testa, le batteva dentro, fino a farle venir
fuori tutti i malinconici versi composti durante la sua vita.
Provava un irresistibile bisogno di fumare, Jennyfer. Non era il
semplice ottuso sfogo di nervosismo, o il bisogno di darsi
un'immagine piu' matura, per un senso di insicurezza adolescenziale.
Era qualcosa di piu' complesso, di piu' morbido e insieme piu' aspro.
Jennyfer cercava un'altra entita' simile, per specchiarsi e
ritrovarsi, o perdersi definitivamente. Il rischio era alto, ma lei
aveva la sua ottima dose di incoscienza con se' , per poterselo
permettere. Le sigarette erano solo la compensazione fisica,
all'esigenza elettiva che le stringeva la gola. Jennyfer aveva
vissuto un'adolescenza con amici piu' grandi di lei, passando le
serate in automobili fumose con stazioni radio banali. Poi tutto
quanto la aveva condotta al fondo, dove aveva visto l'inutilita'
della sua vita fino a quel momento, vissuta solo in funzione di
feticci, piu' o meno raggiungibili, ma vuoti non appena conquistati.
La tristezza di camminare con in mano buste piene di vestiti appena
comprati, che non serviranno a nulla. Jennyfer aveva provato una
svolta cercando una sua affermazione nei confronti del sesso
maschile. Affermazione realizzata grazie ad una nervosa tenacia e al
fascino serio che era riuscita a mettere assieme fino ai suoi
quattordici anni. Sempre piu' evoluta, sempre piu' in contraddizione
con l'autodeterminarsi come donna, sempre piu' sottile nelle scoperte
dall'esterno. Unico costante guaio: aveva il coltello sempre dalla
parte della lama. Jennyfer si metteva a bagno in illusioni di
serenita' che le arrugavano inevitabilmente la pelle, imponendosi
cambiamenti di ritmo improponibili e devianti. Malinconica nelle
luci fioche notturne, riusciva a ridere e a ricordarsi con tristezza
quelle stesse risate nello spazio di una sera. Luci, lampi non
risolutivi che alimentavano temporanei dubbi, freddamente risolti a
scarsa distanza di tempo. Atroci giornate a interrogarsi sulla
prorpria condizione inutile e, in fondo, passiva di fronte a se'
stessa, sia pure alla ricerca di uno stato d'essere diverso. La
sensazione che il tuo corpo voglia andare da qualche altra parte e
l'accorgersi di non sapere ancora troppe cose. Jennyfer certe volte
non parlava, anche se avrebbe voluto farlo. Non capiva se cio' che la
tratteneva fosse paura, sufficienza, o che altro, ma restava in
silenzio anche quando avrebbe voluto gridare addosso agli altri cio'
che le stava dentro. Ma cosa stava dentro a Jennyfer ? Un groviglio
di fili colorati, ognuno con una sua storia, con una sua diversa
influenza sugli altri, ognuno con un suo preciso punto di contatto
con gli altri, coinvolti in un gioco di specchi deformi che ne
distorcono l'immagine e ne rimandano sensazioni offuscate. Forse
Jennyfer non parlava per ascoltare i rumori che la circondavano, e
capire cosi' cosa quelli le suscitassero dentro, e come ricomporre
quello specchio rotto che erano i suoi ricordi. Forse Jennyfer non
parlava per pensare alla noia che la prendeva ogni sera a guardare
spettacoli televisivi che ai suoi occhi sembravano essere
interpretati da manichini telecomandati. Forse Jennyfer non parlava
per guardare i volti della gente pieni di tristezza che ogni tanto
si giravano verso di lei e le imploravano col linguaggio dello
sguardo di agire in maniera diretta e senza cessioni per nessuno.
Lei aveva un forte dibattito con se' stessa. Non importava se sereno
o pesantemente influenzato, si proponeva domande e si dava risposte
in un ristrettissimo spazio di tempo. Jennyfer guardava i viali
dalle terrazze di notte, mentre le auto, come ambulanze nel deserto,
si ostinavano a passare. Lei si sentiva un po' come un gatto in un
cortile di un carcere. Libero, ma costretto a guardare in faccia la
solitudine e la rabbia e furbo abbastanza per scansare i barattoli
di latta sporchi che volano ad un soffio dalla coda. Una festa su un
balcone e gente divisa da abiti, bicchieri, cibo, scarpe, smorti
colori convenzionali, frasi contro natura e personalita' tenute su' a
stento. Chi ride davvero e' chi guarda da lontano e ripensa ai
desideri e alle emozioni cadute adolescenti da quel balcone.
Genitori che sorridono a Jennyfer, le madri con invidia, i padri con
voglia, inconsapevoli di salutare in lei la loro fine e la fine
della loro vulnerabile ignoranza, purificata nell'annientamento. E
tutto cio' mentre prende piede il timore dell'indecisione. Jennyfer e'
assalita ora dall'indecisione, vera colla che comincia ad allagarla
non appena si ferma. Entro poco non puo' piu' muoversi e osserva
sgomenta i passanti indifferenti che una direzione pur ce l'hanno. E
prima di essere uccisa dall'auto in corsa si sveglia scattando in
avanti stravolta. E il dolore e' necessario per la rottura e
l'instaurazione di un ritmo scandito decisamente da una spinta
sicura. Jennyfer ora si sente uniformemente scura nel camminare, e
sa' davvero dove andare. Gli apparenti opposti si scontrano senza
rumore, e cadono senza peso nel buco nero dell'intelligenza, mentre
fiori gialli nascono sotto un cielo di piombo nella testa di
Jennyfer. Lo spazio attorno a lei sembrava essere cosparso di
fuliggine e in testa aveva solo violini scordati che continuavano a
suonare la stessa nenia. Senza volonta' sta' lasciandosi andare verso
il vicolo chiuso del labirinto della vita, il vicolo della
contraddizione insolubile, della coscienza della non-fuga, della
frustrazione sempre latente. Anche stavolta la sterzata e' brusca e
il buttare a mare tutto quanto le toglie ancora un pezzettino di
cuore che finisce abbandonato dentro un pacchetto vuoto di
sigarette. Chissa' quanto cuore le e' rimasto. Forse abbastanza per
spiazzare tutti e mettersi al di fuori del recinto. Senza obbedire
alla maestra e senza dare al mano al compagno. Forse troppo poco per
raccogliere le perle della collana spezzata e lanciarle contro le
macchine blu in corsa. Forse troppo per tagliare l'elastico di
menzogne delle mutande del direttore. Jennifer ha messo il vestito
nero ed e' bellissima con i capelli tirati indietro e raccolti e con
le scarpe basse. La stazione non e' lontana e lei ha poca roba con se'
e il biglietto sola andata ha il nome di una grande citta' stampato
sopra. Jennyfer se ne va.
Alessandro Ludovico
via Mercato 25/5
74011 Castellaneta TA
ITALY